Di Claudia Moretti
Torniamo su un argomento scottante: come accertare se, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3 septies D.lgs 502/92 e successiva specificazione di cui al DPCM 14 febbraio 2001, le cure ricevute in RSA per un anziano non autosufficiente siano o meno a totale carico del Sistema Sanitario?
Nella ricostruzione di fatto e di inquadramento di cui si occupa il consulente medico legale (sia esso di parte nel rendere una relazione ai privato o d’Ufficio nella CTU al Giudice) si appresta a fare, occorrerà formulare in primo luogo il quesito in modo utile all’indagine, centrando i punti nodali che la giurisprudenza di merito e di legittimità ritiene distintivi delle prestazioni sociosanitarie su indicate: ossia l’inscindibilità della componente sanitaria da quella sociale e la funzionalità delle prestazioni “sociali” rispetto al progetto di cura “sanitario”, non altrimenti realizzabile attraverso le cure familiari rese a domicilio.
Nelle svariate e recenti pronunce di legittimità già più volte commentate, sono stati inoltre chiariti ulteriori aspetti che possano concorrere all’inquadramento in esame, quali ad esempio:
- non rileva quale sia stato il progetto terapeutico formalmente reso dalle amministrazioni, ma quale è od era da ritenere necessario;
- Non rileva l’inquadramento in un modulo di ricovero piuttosto che in un altro, ma la patologia della persona;
- Non rileva la tipologia di struttura che ha preso in cura il paziente, sia essa privata o pubblica, sia essa specifica o meno per determinate patologie, né che sia da annoverarsi in una RSA, RSD o altre denominazioni, conta il trattamento reso e da rendersi per il caso in questione.
- Per “componente sanitaria” della prestazione va inteso quanto riportato nella normativa generale regolanti il Sistema Sanitario Nazionale, secondo le previsioni della L. N. 833 del 1978, art. 25 e del DPCM 8 agosto 1985, che definiscono “prestazioni curative” quelle consistenti nell’assistenza medico generica, specialistica, infermieristica, ospedaliera e farmaceutica. Con ciò intendendo anche i trattamenti farmacologici somministrati con continuità a soggetti con grave patologia cronica ospitati presso le strutture di ricovero. (sent. Corte di Cassazione 22776/2016 che enuncia i principi consolidati in materia socio-sanitaria, quali vero e proprio diritto vivente).
La Corte di Cassazione con Sentenza n. 2038 del 28 gennaio 2023, ha confermato i criteri che rendono una prestazione socio-sanitaria qualificabile ad “alta integrazione sanitaria”, ossia l’inscindibilità delle due componenti (non più sulla prevalenza della componente sanitaria rispetto a quella “alberghiera”) laddove l’integrazione è imprescindibile e funzionale agli scopi previsti dalla normativa.
Gli scopi previsti sono quelli indicati nella legge 502/92 art. 3 septies, e dall’atto di indirizzo e coordinamento, Art. 3 del DPCM 14.02.2001 così dispone: “3. Sono da considerare prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria di cui all’art. 3-septies, comma 4, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modifiche e integrazioni, tutte le prestazioni caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria, le quali attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da H.I.V. e patologie terminali, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative. Tali prestazioni sono quelle, in particolare, attribuite alla fase post-acuta caratterizzate dall’inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali nell’àmbito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilità dell’impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell’assistenza e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell’assistenza. Dette prestazioni a elevata integrazione sanitaria sono erogate dalle aziende sanitarie e sono a carico del fondo sanitario. Esse possono essere erogate in regime ambulatoriale domiciliare o nell’àmbito di strutture residenziali e semiresidenziali e sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del bisogno socio-sanitario inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione delle attività del soggetto, nelle fasi estensive e di lungo assistenza.”
L’ Ordinanza 3A sez. della Corte di Cassazione n. 13714 del 18.5.2023, che perfeziona l’interpretazione confermata, rafforza l’idea che per identificare la tipologia della prestazione non valga tanto la “prevalenza” di una componente sull’altra (sanitaria/alberghiera) quanto “l’inscindibilità” delle due componenti che consentano il raggiungimento del fine terapeutico:
“3.3. Orbene, dando continuità alla giurisprudenza di legittimità sopra ripercorsa, deve ritenersi che la corte d’appello abbia errato nell’individuare il criterio giuridico per individuare se le prestazioni erogate dalla struttura fossero o meno scindibili in una componente alberghiero-assistenziale, a carico del paziente ricoverato o dei suoi familiari ove se ne siano assunti l’onere, ed in una componente sanitaria, comunque gratuita perchè a carico del SSN. Nella sentenza impugnata, il discrimine è stato individuato nella “prevalenza” della componente sanitaria, per poi escluderne la ricorrenza in concreto, con giudizio in fatto, laddove, secondo questa giurisprudenza di legittimità, il criterio, anche alla luce della evoluzione normativa in materia, è quello della integrazione tra le prestazioni, ovvero della unitaria ed inscindibile coesistenza dei due aspetti della prestazione, che ne produce l’integrale addossamento degli oneri economici sul Servizio Sanitario Nazionale (ai sensi del D.P.C.M. 14 febbraio 2001, art. 3 comma 3).
Invero, al fine dell’accertamento del suddetto discrimine, occorre far riferimento (non alle caratteristiche della struttura, nel quale il malato è ricoverato, ma) alle condizioni del malato.
Non rileva, quindi, che fosse stato concordato o comunque previsto, per quel singolo paziente, un piano terapeutico personalizzato e neppure rileva la corretta attuazione di detto piano in conformità con gli impegni assunti verso il paziente o i familiari al momento del ricovero.
Rileva invece che quel piano terapeutico personalizzato fosse dovuto, e che quindi sussistesse la necessità, per il paziente, in relazione alla patologia della quale risultava affetto (morbo di Alzheimer), dello stato di evoluzione al momento del ricovero e della prevedibile evoluzione successiva della suddetta malattia, di un trattamento sanitario strettamente e inscindibilmente correlato con l’aspetto assistenziale perché volto, attraverso le cure, a rallentare l’evoluzione della malattia e a contenere la sua degenerazione, per gli stati più avanzati, in comportamenti autolesionistici o potenzialmente dannosi per i terzi.”
Ecco una ipotesi di quesito:
“Descriva, accerti e valuti il CTU:
i) la patologia ……….. dal primo ricovero nel 2008,
ii) le conseguenti necessità terapeutiche, mediche, specialistiche, infermieristiche, farmacologiche e quelle assistenziali;
iii) la natura socio-sanitaria delle prestazioni ricevute dalla Sig.ra Minosa, ai sensi e per gli effetti della normativa di settore – D.lgs 3 septies D.lgs 502/92 e DPCM 14 febbraio 2001, chiarendo e valutando se siano esse state ad alta integrazione sanitaria o meno, durante la sua degenza, ed in particolare chiarendone: l’inscindibilità o meno delle due componenti sanitaria e assistenziale nel progetto di cura; la funzionalità/strumentalità o meno della componente assistenziale rispetto al progetto di cura e al mantenimento in vita della paziente; la predominanza della componente sanitaria nel percorso terapeutico ricevuto durante il ricovero dalla Sig.ra Minosa,
iv) l’appropriatezza delle terapie e delle prestazioni ricevute sin dal primo ricovero ad oggi;
v) la sostituibilità delle stesse ad opera della famiglia, in ambiente domiciliare.”
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